N. 6 - 9 May 2007
numero 6
9 May 2007

Numero 6, 9 maggio 2007

In questo numero:
Rischio fibrillazione con l'acido zoledronico
Come scrivere un report di un evento avverso
Prevenzione antitrombotica non sempre utile

1 Acido zoledronico e fibrillazione atriale

Un segnale di allerta sull’acido zoledronico giunge da uno studio controllato e randomizzato multicentrico coordinato dall’Università della California di San Francisco: il farmaco sembra associato alla comparsa di fibrillazione atriale grave. Studiando oltre 7.000 donne in post menopausa suddivise in due gruppi (trattamento con una infusione all’anno di acido zoledronico alla dose di 5 mg oppure placebo) i ricercatori hanno chiarito che il bifosfonato è efficace nel ridurre l’incidenza di fratture vertebrali, dell’anca e di altro tipo nell’arco di 3 anni, a fronte però di un inatteso effetto avverso: la comparsa di fibrillazione atriale grave nell’1,3% delle pazienti trattate rispetto allo 0,5% del gruppo placebo (50 soggetti rispetto a 20, p<0,001). Il dato, in realtà, non sarebbe del tutto nuovo, perché dati in tal senso anche se considerati all’epoca (1997) come non significativi, sarebbero stati infatti riportati nel dossier presentato dall’azienda farmaceutica per l’approvazione all’immissione in commercio da parte dell’FDA dell’acido alendronico: nello studio, condotto sempre all’Università di California, su 6.459 donne in post menopausa era emersa una incidenza di fibrillazione atriale dell’1,5% rispetto all’1% delle donne trattate con placebo (hazard ratio 1,51, limiti di confidenza da 0,97 a 2,40, p=0,07). In tale occasione il dato era stato considerato come poco significativo e improbabile un’associazione tra farmaco e aritmia.

CONSIGLI
I dati emersi dallo studio inducono a cautela, anche perché l’insorgenza della fibrillazione atriale nella gran parte dei casi è avvenuta oltre 30 giorni dopo la somministrazione del farmaco. Occorre attendere studi mirati per capire se il legame con la fibrillazione atriale sia un effetto di classe e riguardi quindi tutti i bifosfonati, se sia legata a tutte le vie di somministrazione e ai vari dosaggi. Nell’attesa, vale il principio di precauzione che invita a non usare il farmaco in soggetti a rischio cardiovascolare.

BIBLIOGRAFIA
Black D, Delmas P, et al. Once-yearly zoledronic acid for treatment of postmenopausal osteoporosis. N Engl J Med 2007;1809-22. Cummings S, Schwartz, Black D. Alendronate and atrial fibrillation. N Engl J Med 2007;356:1895-6.

2 Le linee guida per chi vuole pubblicare

Sono state rilasciate le Linee guida per la scrittura dei report di casi di eventi avversi da inviare alle riviste medico-scientifiche per la pubblicazione. Attualmente pochissime riviste hanno regole precise al riguardo per cui le segnalazioni che arrivano in letteratura sono spesso difformi rispetto ai contenuti e a volte inutilizzabili perché incomplete o imprecise.
Ora, sotto l’egida della International Society for Pharmacoepidemiology e dell’International Society of Pharmacovigilance, si è finalmente creato uno standard di riferimento a cui attenersi quando si voglia inviare un caso per la pubblicazione.
In sintesi nella scrittura del report occorre sempre segnalare:
  • caratteristiche del paziente e in particolare età, sesso, malattia o sintomi per cui era trattato, anamnesi di altri eventi avversi da farmaco, alterazioni all’esame obiettivo o ai test di laboratorio;
  • eventuale uso del farmaco off-label;
  • conseguenze dell’evento avverso (morte, condizioni a rischio per la vita, ospedalizzazione, disabilità);
  • dati sul farmaco e in particolare il nome generico del principio attivo (se si tratta di un’erba usare il nome latino e il tipo di preparazione), il nome commerciale e il nome del produttore, la dose e la durata della terapia prima dell’evento avverso, eventuali terapie concomitanti;
  • descrizione accurata dell’evento avverso e della sua gravità;
  • descrizione dei motivi che inducono a sostenere un legame tra farmaco ed evento avverso (inclusi i tempi) e discussione di report precedenti simili;
  • indicazione del numero di codice del caso segnalato alle autorità di farmacovigilanza del proprio paese.
Oltre a questi nelle Linee guida sono indicati elementi altamente desiderabili e altri che è importante segnalare solo se si ritengono rilevanti.
Le linee guida saranno presto disponibili gratuitamente nei siti delle due società scientifiche (http://www.isoponline.org/ e http://www.pharmacoepi.org/)

BIBLIOGRAFIA
Kelly W, Arellano F, et al. Guidelines for submitting adverse event reports for publication. Drug Saf 2007;30:367-73.

3 Terapia antitrombotica e ictus emorragico nell’anziano

L’incidenza dell’ictus emorragico sembra in discesa, ma così non è per tutte le età. Per i soggetti oltre i 75 anni (nei quali si verificano molti casi) si è assistito addirittura a un incremento negli ultimi 25 anni che sarebbe legato all’uso della terapia antitrombotica e in particolare alla prevenzione con acido acetilsalicilico nei soggetti a basso rischio.
Un gruppo di epidemiologi di Oxford ha analizzato i dati di incidenza dell’ictus emorragico nei database del 1981-1986, confrontandoli a quelli del 2002-2006 correggendo i dati per vari fattori di rischio. La sorpresa è venuta quando a fronte di una riduzione dei valori medi di pressione arteriosa, cui dovrebbe corrispondere una riduzione dei casi di ictus emorragico, si è osservata una flessione solo nei soggetti sotto i 75 anni (rapporto di incidenza 0,53 nel confronto tra i due periodi), ma una vera e propria impennata (rapporto di incidenza 7,4) negli over 75, nonostante anche tra questi sia stata rilevata una tendenza alla diminuzione della pressione arteriosa. Tale incremento sembra associato pertanto all’uso di acido acetilsalicilico, in particolare da parte di soggetti in buona salute e a basso rischio cardiovascolare che però utilizzano piccole dosi quotidiane dell’antitrombotico a scopo preventivo cardiovascolare.
D’altra parte mentre negli anni ottanta solo il 4% dei soggetti colpiti da emorragia intracerebrale faceva uso di acido acetilsalicilico, nel quadriennio 2002-2006 tale proporzione è arrivata al 40%. Secondo gli autori dell’articolo l’uso di antitrombotici potrebbe a questo punto scalzare l’ipertensione arteriosa dal primo gradino di fattore di rischio per l’ictus emorragico.

CONSIGLI
Occorre cautela nel diffondere l’uso negli anziani della terapia cardiovascolare preventiva con un antitrombotico a bassa dose: mentre infatti sono dimostrati i benefici nei soggetti che hanno un rischio cardiovascolare alto o moderato, altrettanto non vale per soggetti in buona salute e senza particolari rischi.

BIBLIOGRAFIA
Lovelock C, Molyneux et al. Change in incidence and etiology of intracerebral haemorrhage in Oxfordshire, UK, between 1981 and 2006: a population-based study. Lancet Neurol 2007: DOI:10.1016/S1474- 4422(07)70107-2.

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