N. 43 - 23 April 2009
numero 43
23 Apr 2009

n. 43 - 23 aprile 2009

In questo numero:
Piccole emorragie cerebrali da antiaggregante
Le reazioni avverse da farmaci tocolitici
Vareniclina e rischio suicidio

1 Microemorragie cerebrali e acido acetilsalicilico

L’acido acetilsalicilico aumenta il rischio di microsanguinamenti cerebrali anche al dosaggio utilizzato per la prevenzione cardiologica.
I microsanguinamenti cerebrali, specie nelle zone lobari, sono indice per lo più di una angiopatia amiloidea: la deposizione di amiloide nella parete vascolare rende i vasi più fragili e quindi più sottoposti alla rottura. Grazie alla risonanza magnetica è possibile oggi visualizzare queste emorragie, identificabili come depositi di emosiderina nei macrofagi circostanti il vaso.
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Rotterdam, in Olanda, ha analizzato in uno studio di popolazione 1.062 soggetti ultrasessantenni senza demenza, alcuni dei quali prendevano farmaci antitrombotici (antiaggreganti piastrinici o anticoagulanti), per vedere grazie a una risonanza magnetica se l’azione antitrombotica facilitasse la comparsa di microsanguinamenti cerebrali.
Chi prendeva un antiaggregante aveva in effetti una probabilità maggiore di microsanguinamenti cerebrali (odds ratio 1,71, limiti di confidenza al 95% da 1,21 a 2,41). Se si valutavano solo i microsanguinamenti lobari, il rischio con l’acido acetilsalicilico aumentava ulteriormente (odds ratio 2,70, limiti di confidenza al 95% da 1,45 a 5,04), anche se formulazioni diverse del principio attivo (come il carbasalato calcico, non in commercio in Italia) sembravano invece prive di questo effetto avverso. L’assunzione di un anticoagulante non influenzava invece significativamente questo rischio (odds ratio 1,49, limiti di confidenza al 95% da 0,82 a 2,71).

In pratica
Nel bilancio costi-benefici della terapia con antiaggreganti deve essere sempre presente la valutazione del rischio emorragico. Ciò vale non solo a livello gastrico, ma anche cerebrale. Occorrono ulteriori studi per confermare il dato emerso in questa ricerca, analizzando anche la possibile correlazione tra uso di antiaggreganti e incidenza di emorragie intracerebrali sintomatiche.

Bibliografia
Vernooij M, Haag M, et al. Use of antithrombotic drugs and the presence of cerebral microbleeds. Arch Neurol 2009;66:DOI:10.1001/archneurol.2009.42.

2 I tocolitici più sicuri

Non tutti i farmaci tocolitici usati per ridurre il rischio di parto prematuro sono uguali, almeno dal punto di vista del profilo della sicurezza. In uno studio condotto su 1.920 donne gravide con minaccia di parto pretermine sono state confrontate le reazioni avverse materne con l’uso di vari tocolitici, tra cui atosiban, ritodrina, nifedipina e indometacina.
Il 69,1% delle donne trattate aveva ricevuto un singolo ciclo di trattamento, il 14,7% cicli sequenziali e il 16,2% cicli combinati di vari farmaci. Si sono osservate reazioni avverse gravi o medie (dispnea, ipotensione, scompenso cardiaco, ipossia, edema polmonare, trombosi venosa profonda) in 14 casi, tanto che l’incidenza globale di reazioni avverse gravi era dello 0,7%. Se si confrontavano tra loro i vari farmaci emergeva un maggior rischio di reazioni avverse per i beta agonisti (come la ritodrina) rispetto all’atosiban (rischio relativo 22, limiti di confidenza al 95% da 3,6 a 138,0) e per i calcioantagonisti (come la nifedipina) rispetto all’atosiban (rischio relativo 12, limiti di confidenza al 95% da 1,9 a 69,0). Anche la somministrazione di più tocolitici era più spesso legata a reazioni avverse gravi.

In pratica
La scelta del tocolitico per ridurre il rischio di parto pretermine deve basarsi su molti fattori, tra cui occorre considerare il rischio di reazioni avverse materne. Nello studio in questione atosiban e indometacina erano gli unici due farmaci non associati a reazioni avverse gravi.

Bibliografia
De Heus R, Mol B, et al. Adverse drug reactions to tocolytic treatment for preterm laboir : prospective cohort study. Brit Med J 2009;338:b744.

3 Associazione tra vareniclina e rischio di suicidio

Emergono sempre più prove di un’associazione tra uso di vareniclina per semettere di fumare e rischio di suicidio. L’analisi è stata condotta dall’FDA statunitense che ha raccolto in totale 147 segnalazioni di ideazioni suicidarie o di comportamenti suicidari in soggetti trattati con il farmaco. Diciannove dei soggetti con comportamenti suicidari hanno messo in atto il loro proposito e sono morti. Nella metà dei casi si trattava di pazienti che avevano una storia psichiatrica nota alle spalle, nel 24% di soggetti con una storia psichiatrica non nota e nel 26% senza storia psichiatrica. Il confronto con gli altri farmaci per la disassuefazione al fumo indica che il bupropione pure si associa a un aumento del rischio di suicidio, ma in misura molto minore (75 segnalazioni in dieci anni, contro le 147 in un anno e mezzo per la vareniclina), mentre la nicotina non avrebbe questo rischio. Un possibile legame tra vareniclina e aumento del rischio di suicidio può risiedere nel meccanismo d’azione del farmaco che agisce sul sistema della dopamina, che modula il comportamento.

In pratica
La vareniclina è un farmaco con molti effetti avversi. Nel quarto trimestre del 2007 le segnalazioni di eventi avversi da vareniclina negli Stati Uniti sono state 988, più di qualunque altro farmaco; nel primo trimestre del 2008 la vareniclina aveva più segnalazioni di eventi avversi gravi dei dieci farmaci più venduti in assoluto messi insieme e nel secondo trimestre del 2008 la vareniclina era al secondo posto per numero di segnalazioni sempre negli Stati Uniti. Tra l’altro molte di queste segnalazioni riguardavano disturbi psichiatrici.
Nell’attesa di avere dati più precisi al riguardo e di informare gli operatori sanitari di questi possibili rischi occorre evitare di usare il farmaco nei soggetti con storia psichiatrica nota e seguire comunque nel tempo i soggetti dicendo di segnalare immediatamente eventuali idee suicidarie, perché la sospensione della terapia in questi casi obbligatoria e immediata sembra azzerare l’aumentato rischio di suicidio.

Bibliografia
Kuehn B. Studies linking smoking-cessation drug with suicide risck spark concerns. JAMA 2009;301:1007-8.

Che cos'è?

Versione stampabile

Archivio

Comitato di redazione

Voglio ricevere «Reazioni» cartaceo

Scheda di segnalazione

Invia un commento

Progetto ECCE